Vampiri, esorcisti e dittatori sanguinari: El Conde di Pablo Larraín

Il regista cileno, a cui è stato conferito il premio per la miglior sceneggiatura alla Mostra del Cinema di Venezia, mette in scena una satira brillante, divertente e amara sulla dittatura di Pinochet e sul suo retaggio nella società cilena contemporanea.

Di Gianluca Caccialup

E se vi dicessero che Adolf Hitler o Benito Mussolini non erano normali esseri umani, ma vampiri sopravvissuti a secoli di storia che, dopo la caduta delle loro dittature sanguinarie, si aggirano ancora tra noi senza farsi vedere, se non dalle vittime di cui si cibano per mantenersi in vita? Sostituendo ai nomi di Hitler o Mussolini quello del dittatore cileno Augusto Pinochet potrete ricavare, per sommi capi, la trama di El Conde, ultimo film del regista cileno Pablo Larraín, presentato lo scorso 31 agosto alla Mostra del Cinema di Venezia. Larraín si allontana in modo netto dal genere che ha maggiormente praticato negli ultimi anni, quello del biopic (Neruda, Jackie, Spencer), e dà vita a un film fortemente politico, a metà strada tra la satira e la commedia nera.

Come riferisce la voce narrante, che, con una trovata geniale, assumerà un’identità precisa soltanto alla fine del film, Pinochet – il cui cognome originale era Pinoche – nacque e crebbe in Francia nella seconda metà del Settecento, assistendo, da membro dell’esercito reale, alla Rivoluzione francese e all’esecuzione di Maria Antonietta. Profondamente ostile a ogni ideale rivoluzionario, Pinoche, che nel frattempo scopre di essere un vampiro, decide di simulare la propria morte e ricomparire un secolo e mezzo dopo in Cile. A partire da questo momento, l’identità del vampiro coincide con quella del Pinochet storico, con la differenza fondamentale che la sua morte, avvenuta nel 2006, non è altro che una messa in scena per sparire dalla circolazione e ritirarsi in una lussuosa dimora di campagna nel sud del paese.

Questi fatti sono narrati in forma estremamente sintetica all’inizio del film. La trama vera e propria si concentra in realtà sulla vita di Pinochet a seguito della sua presunta morte e mette in scena un conflitto familiare che coinvolge, oltre al dittatore, alla moglie Lucía e ai figli, il maggiordomo Fëdor, un vampiro russo che si schierò con i bianchi al tempo della Rivoluzione d’ottobre e che divenne poi l’addestratore degli squadroni della morte in occasione del colpo di Stato in Cile del 1973. Un altro personaggio centrale è quello di Carmencita, che, pur venendo assunta dalla famiglia come contabile per gestire il proprio patrimonio, è in realtà una suora esorcista sotto copertura incaricata di uccidere Pinochet da un misterioso committente.

La trama familiare che occupa la quasi totalità del film è principalmente un pretesto per fare emergere, esplicitamente o metaforicamente, i principali lati oscuri del regime di Pinochet: la persecuzione e il massacro degli oppositori politici – da cui l’idea di rappresentare il dittatore come un vampiro – e l’appropriazione indebita del denaro pubblico, che fa da contraltare all’impoverimento dei ceti popolari, talmente disprezzati che il loro sangue risulta per il vampiro sgradevolmente amaro.

Nonostante i riferimenti alle responsabilità storiche del regime, il vero protagonista del film di Larraín non è il Cile di Pinochet, ma quello contemporaneo, un paese in cui i crimini perpetrati al tempo della dittatura sono rimasti impuniti, la famiglia del generale vive ancora nell’agiatezza e alcuni dei principali responsabili della repressione scontano la propria condanna in delle vere e proprie prigioni dorate. La scelta da parte del regista di rappresentare un Pinochet che è ancora in vita e continua ad alimentarsi del sangue delle proprie vittime non è altro che un modo per sottolineare che il paese non ha fatto i conti con il proprio passato e che le idee del dittatore, a cinquant’anni dal colpo di Stato del 1973, sono ancora vive e vegete nella società cilena.

El Conde, come quasi tutti i film di Larraín che lo hanno preceduto, ha tra i suoi principali punti di forza la scelta di attori perfettamente adeguati per i ruoli che interpretano. Le performance più notevoli sono indubbiamente quelle di Jaime Vadell (Augusto Pinochet), Gloria Münchmeyer (Lucía Hiriart) e Alfredo Castro (Fëdor), vero e proprio attore feticcio di Larraín. Particolarmente efficaci anche la fotografia di Edward Lachman e la scelta del bianco e nero, che rafforza in maniera notevole l’atmosfera gotica della pellicola.

In generale, l’idea alla base del film, alcune trovate narrative rinvenibili al suo interno – tanto brillanti quanto divertenti – e il coraggio di prendere parte in maniera chiara e netta rendono El Conde un’opera interessante, intelligente e originale, che richiede tuttavia allo spettatore internazionale l’attenzione e le conoscenze necessarie a penetrare oltre l’involucro della narrazione per cogliere il significato profondo delle singole scene.

El Conde sarà disponibile su Netflix a partire dal 15 settembre.

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